Gerardo Fortino: chi sono davvero, dalla Calabria al mondo digitale
- Gerardo Fortino
- 13 dic
- Tempo di lettura: 5 min
Aggiornamento: 1 giorno fa
Sono nato in Calabria.
E no, non ti dirò che è la terra più bella del mondo, che il mare azzurrissimo, che il sole, che la gente. A me, la Calabria, non è mai piaciuta davvero. O meglio: non l’ho mai sentita mia. Forse perché lì le opportunità hanno sempre avuto lo stesso cognome e lo stesso giro di mano. Io, con quella categoria di gente, non ho mai avuto niente a che fare.
Ma come lo determini, il destino? Siamo figli del caso, buttati in un punto qualsiasi del mondo e costretti a chiamarlo “casa”. Poi passiamo il resto della vita a litigare con quella geografia.
Questo articolo è il mio punto di partenza: una specie di premessa. Alla mia vita, al mio lavoro e a questo blog, dove racconterò il mondo, il lavoro digitale e le cose che mi hanno rotto e ricostruito.

Gerardo Fortino, nato in Calabria (ma non è una cartolina)
Non ho mai avuto grandi possibilità. Meglio così: quando non hai santi in paradiso, ti restano i cavi, i libri e la testa. Da ragazzo non ero quello “popolare”. Ero il classico nerd: mentre gli altri parlavano di motorini, io smanettavo.
Passavo le giornate a:
programmare in C++ e Visual Basic,
scaricare serie tv e film da eMule fino a far piangere i vecchi hard disk,
litigare con Windows 98 e le sue schermate blu.
Alle medie lavoravo già in un negozio di computer, quando vedere un hard disk da 5 GB era come incontrare un’astronave, e per formattare Windows 98 servivano 36 floppy disk in fila, uno dietro l’altro. Alle superiori continuo: frequento un altro negozio di informatica a Cosenza, imparo il mestiere sul campo, tra viti, driver e clienti che volevano “il PC che va veloce”.
Alla fine mi diplomo, faccio le valigie e me ne vado a Teramo, in Abruzzo: Marketing e Comunicazione. All’università la vita sembra finalmente “normale”: città nuova, amici nuovi, un respiro diverso. Per un po’ mi illudo che basti cambiare luogo per cambiare destino.
Quando la scrittura diventa il mio psicologo
Il destino, però, quando decide di menarti, non chiede il permesso. Mi mette qualche sgambetto di troppo, e io faccio quello che molti non hanno il coraggio di ammettere: mi rifugio nella scrittura.
La scrittura diventa il mio psicoterapeuta abusivo: taccuini, tastiere, file aperti di notte. Vado a Roma, studio giornalismo, poi salto ancora: prima USA, poi Ucraina. Da lì inizia la mia vita da reporter. Per sei anni vivo così: Africa, Est Europa, India, e altri angoli del mondo che sulle mappe sembrano lontanissimi e invece ti restano sotto pelle.
Le mie giornate sono:
appunti scritti in fretta,
interviste in stanze spoglie,
strade impolverate,
aeroporti,
letti sgangherati,
storie troppo grandi per stare in una colonna di giornale.
La fotografia diventa una seconda lingua. Sviluppo un bianco e nero che nasce soprattutto in Congo: duro, ruvido, senza didascalie accomodanti. Col tempo quella lingua visiva la riconosco: è mia, ha un tono, una firma.
Mostre, documentari e quel bianco e nero che graffia
Le mie fotografie arrivano al Salone d’Onore della Triennale di Milano, poi alla Biennale di Roma, sezione Fotografia, e in altre mostre private. Intanto realizzo un documentario sul Madagascar, distribuito da Draka Distribuzioni e finito su diverse piattaforme streaming.
Sulla carta, la storia fila: viaggi, mostre, riconoscimenti, interviste, complimenti.
Dentro, invece, resta una sensazione precisa: non mi basta. Non basta raccontare il mondo se poi il mondo preferisce solo le storie addomesticate.
Raw FACTS e il muro dell’ipocrisia
Nel frattempo non ho mai smesso di fare una cosa: sviluppare siti web. Per me il web è sempre stato questo: passione e lavoro insieme, una terra dove puoi costruire senza chiedere il permesso a nessuno.
Con RCE Foto nasce Raw FACTS, un canale di denuncia. Un’idea semplice e scomoda: raccontare le inchieste difficili, quelle che non stanno bene nei post buonisti.
Niente retorica da cartolina tipo:
“I neri sono neri ma tutti buoni”,
“l’Africa è tutta bella”,
“basta fare beneficenza e andrà tutto bene”.
No. Raw FACTS nasce per scrostare. Per togliere la vernice dalle narrazioni comode. Dopo un anno, il progetto si arena. Le mie idee non piacciono al “pensiero sociale” che va di moda. Meglio chiudere un occhio, meglio dire che va tutto bene, meglio non disturbare la digestione di nessuno.
Io, alle favole, non ci sono mai stato. E le favole, prima o poi, presentano il conto.
L’antimafia che assomiglia alla mafia
Continuo a scrivere per giornali e riviste, entro in un’associazione antimafia (il nome lo tengo fuori da qui, per tutela e per decenza). Per un attimo penso di aver trovato un ambiente sano. Un posto dove la parola “giustizia” non è solo un titolo da convegno.
Poi arriva la lezione che nessuno vuole sentirsi dire: a volte l’antimafia sa essere peggio dell’antimafia. Un avvocato, che poi diventerà presidente di quella associazione, decide di estorcermi denaro per due biografie a cui stavo lavorando come ghostwriter. Io, come un cretino innamorato del lavoro, ci do dentro otto mesi: studio, interviste, scrittura, notti senza orari.
Poi capisco l’inganno. Lo denuncio. In Italia chi denuncia, spesso, resta solo. Lui fa pressioni su uno dei fondatori, che decide di interrompere il rapporto con me. Risultato: fuori dall’associazione, fuori dal giro, fuori dal recinto dei “buoni” istituzionali. Nel frattempo la vita non risparmia niente: perdo amici, persone care, e il colpo più duro arriva con la morte del mio migliore amico. Quando se ne va lui, una parte di me si spacca in silenzio. Da lì non torni più come prima, impari solo a camminare storto senza farlo notare troppo.
Reset: dal caos al codice
Arrivo a un punto chiaro: devo mollare tutto e ripartire da ciò che so fare con onestà, senza intermediari corrotti, senza santini in giacca e cravatta.
Rimetto mano alle mie qualifiche:
riprendo la formazione come Google SEO Specialist,
metto in fila tutti i master,
riapro la cassetta degli attrezzi del web designer vero, quello che un sito lo pensa, lo disegna, lo struttura prima ancora di aprire WordPress.
Non è una ripartenza da film motivazionale. È dura, lenta, piena di conti da far tornare, notti al computer, giornate storte. Ma riparto. E, soprattutto, riparto a modo mio.

Nomade digitale (per scelta, non per moda)
Oggi vivo come nomade digitale. Non perché fa figo su Instagram, ma perché ho deciso che non voglio più restare incollato a un posto che non mi assomiglia. Lavoro come web designer e SEO, scrivo come ghostwriter, porto in giro:
la mia esperienza da reporter,
la mia ostinazione nel dire le cose come stanno,
tutte le città che ho attraversato senza appartenere davvero a nessuna.
Mi porto dietro le cicatrici:
l’Africa, l’Est Europa, l’India,
le mostre, il documentario,
le denunce, i tradimenti,
la morte degli amici,
la Calabria che non ho mai sentito veramente mia.
E nonostante tutto, una cosa non l’ho mai fatta: mollare.
Gerardo Fortino oggi: cosa porto dentro questo blog
Gerardo Fortino oggi è questo miscuglio: nerd di provincia, reporter, fotografo, ghostwriter, web designer, nomade digitale. Tutte queste identità finiscono qui dentro, in questo spazio, senza filtri e senza posa.

Perché questo blog (e cosa ci troverai dentro)
Questo blog è una premessa e una promessa.
La premessa è la mia storia, questa che hai appena letto. La promessa è che qui dentro non troverai solo articoli su web design, SEO, strumenti digitali.
Troverai due strade che credevo separate e che qui ho deciso di far incontrare:
il mio lavoro nel web: siti, strategie, vita da freelance e nomade digitale;
il mio bisogno ostinato di guardare il mondo e raccontarlo, anche quando non conviene, anche quando non è Instagram-friendly.
Non ti prometto motivazione in pillole né frasi da condividere nelle stories. Ti prometto un’altra cosa: onestà. Se sei arrivato fin qui, forse abbiamo in comune almeno questo: non ti bastano più le storie lucidate a festa. Vuoi vedere anche le crepe. Io, da questo blog, parto proprio da lì. Dalle crepe. Dove entra la luce, ma anche dove fa più male guardare.


